Ascoli, Rozzi: i calzettoni rossi e l’uomo che non se n’è mai andato

Rozzi - Credit Ascoli Calcio - www.lacasadic.com
Quando Ascoli e il calcio avevano un presidente con l’anima, trentuno anni senza Rozzi, ma mai davvero senza
Domenica prossima, al Del Duca, l’Ascoli scenderà in campo con i calzettoni rossi. Non sarà una scelta estetica, né una stravaganza vintage. Sarà un segno. Un richiamo. Un filo rosso che anno dopo anno, lega il presente a un passato che continua a battere nel cuore di una città intera. Trentuno anni dopo, Costantino Rozzi torna ancora lì dove è sempre stato: in mezzo al suo popolo.
Per chi non lo ha conosciuto, Rozzi è stato un presidente, anzi il Presidentissimo. Per chi lo ha vissuto, è stato molto di più. Era il calcio prima dei comunicati patinati, prima delle conferenze studiate, prima dei social. Era un uomo che parlava come mangiava, che viveva lo stadio come una casa e la squadra come una famiglia. Un presidente che scendeva negli spogliatoi, che urlava, rideva, soffriva. Sempre con quei scaramantici calzettoni rossi, diventati leggenda. In televisione Biscardi lo incalzava, Rozzi rispondeva a muso duro, senza diplomazia. Un calcio che oggi manca. Come lui.
L’Ascoli di Rozzi non era solo una squadra: era un’idea di calcio. Una provincia che sfidava le grandi città, una società che con poco faceva tantissimo. Era la Serie A conquistata con l’orgoglio, le vittorie impossibili, le domeniche epiche. Era la sensazione che, contro chiunque, l’Ascoli potesse giocarsela. Perché dietro c’era lui. Sempre lui. Serie A, imprese contro le grandi, salvezze che sapevano di miracolo e vittorie che avevano il sapore dell’epica popolare. Milan, Inter, Juventus, Roma, Napoli: nessuno faceva paura.
Domenica 21 dicembre, contro il Campobasso, quei calzettoni torneranno a camminare sull’erba del Del Duca. Non per nostalgia sterile, ma per ricordare che il calcio può ancora essere sentimento, identità, appartenenza. E che certi uomini non passano: restano.
Trentuno anni senza Rozzi, mai davvero senza
Sono passati 31 anni dalla sua scomparsa, eppure il nome di Rozzi continua a essere pronunciato come se fosse ancora lì, seduto in tribuna, pronto a sbottare o ad abbracciare qualcuno. È raro, nel calcio moderno, trovare una figura che manchi così tanto. Non solo ai tifosi dell’Ascoli, ma a chiunque ami questo sport nella sua forma più pura.
Rozzi manca perché rappresentava un calcio umano. Imperfetto, istintivo, vero. Un calcio fatto di strette di mano, di promesse mantenute, di rabbia e passione. Manca a chi crede che il pallone non sia solo business, ma racconto. Che una squadra possa essere l’anima di una città.

L’eredità invisibile che vive ancora, l’uomo che rese grande una provincia
Ogni volta che l’Ascoli scende in campo, c’è qualcosa di Rozzi che ritorna. Nella voce dei tifosi più anziani, negli sguardi di chi racconta “quando c’era il Presidentissimo“, nelle storie tramandate come favole vere. È un’eredità che non ha bisogno di statue, vive nella memoria.
Domenica, quei calzettoni rossi non saranno solo un omaggio. Saranno un messaggio. Al calcio di oggi, ai giovani che non lo hanno visto, a chi pensa che tutto sia consumabile. Rozzi non è un ricordo, è una presenza. E finché ci sarà qualcuno che si emoziona per una partita dell’Ascoli, lui non se ne sarà mai andato.
