Il ds Obbedio racconta Gabbia: “Ragazzo eccezionale, a Lucca si è formato”
Crederci, fino alla fine. Perché qualcosa di straordinario può sempre succedere.
La storia di Matteo Gabbia si riassume un po’ in questo. Anni di lavoro e sacrifici, intensi silenzi e perseveranza e di quegli ultimi istanti che arrivano quando tutto ormai sembra scritto, ma poi ti sconvolgono il destino. Un po’ come con il gol segnato nell’ultimo minuto del derby. Un po’ come quel 31 agosto 2018 quando passò in prestito alla Lucchese in Serie C. Rossonero.
“La prima chiacchierata con lui fu a Casa Milan. Lo capii subito: un ragazzo eccezionale, fatto di principi solidi e importanti e con la mentalità da calciatore”, racconta Antonio Obbedio, al tempo ds dei toscani e ora all’AlbinoLeffe. “Merita tutto quello che ha ottenuto. Ha coronato il suo sogno: tornare al Milan e segnare nel derby”.
“È sempre lo stesso Matteo di Lucca, una persona autentica. Ci siamo sentiti dopo la rete contro l’Inter, gli ho mandato un messaggio. Mi ha risposto dopo pochi minuti, non è cambiato”. Un po’ come quando dopo l’esordio con il Milan “scrisse sul gruppo Whatsapp che avevamo ancora della Lucchese per ringraziare compagni e staff per averlo aiutato a raggiungere quel traguardo”.
In quel colpo di testa c’è il viaggio di un ragazzo fatto di amore per quei colori, attaccamento alla maglia, l’estasi di un popolo. Ma anche, o forse soprattutto, quella stagione a Lucca: una salvezza ottenuta nonostante i 23 punti di penalizzazione, mesi senza società, l’erba del campo tagliata con i compagni su dei trattori. E c’è quel 31 agosto. Tutto grazie a quell’ultimo minuto. Come a San Siro.
Mettersi in gioco
“Avevamo la necessità di inserire un difensore centrale bravo a impostare. In quel momento il Milan stava valutando il percorso corretto da fargli fare, se cederlo in prestito in Serie C oppure tenerlo come fuori quota in Primavera. Io decisi di puntare sul suo profilo”, racconta il ds Obbedio. La prima chiacchierata a Casa Milan: “gli spiegai che sarebbe arrivato in un contesto diverso da Milanello, un ambiente che doveva lottare per la salvezza”. “Non mi importa, vengo a mettermi in gioco e per crescere”. Mentalità.
“Principi importanti e solidi. Era un ragazzo autocritico, ma molto positivo”. E quel dubbio sul ruolo: “Matteo aveva giocato negli anni precedenti sia al Milan che in Nazionale con Nicolato come play o mezzala. Gli dissi che per me era un difensore centrale”. Aveva ragione. “Fece un anno strepitoso, non sbagliò una partita. Ma la sua grandezza la si capisce da altro”. Ovvero? “La testa e i valori. Dovemmo disputare i playout. Doveva partite la domenica con la Nazionale. Il sabato volle giocare a tutti i costi l’andata con noi, anche con il rischio di farsi male e magari compromettere la partecipazione all’Europeo”. Attaccamento alla maglia. Oggi e allora.
Crescita
“Dice sempre che quell’anno in C è stato per lui il più formativo. Da gennaio a giugno rimanemmo senza società, andammo avanti con i soldi dei tifosi. L’erba del campo la tagliavano i giocatori col trattore. Non avevano i fisioterapisti, si massaggiavano tra loro i ragazzi”. Mesi di formazione e crescita. Poi il ritorno al Milan: “È un ragazzo di vecchi valori. Ha fatto un percorso fatto di lavoro e sacrifici, anche grazie a una famiglia molto seria che lo ha accompagnato”.
Il presente si chiama San Siro: “È la dimostrazione che ci vorrebbero più giocatori italiani con un senso di appartenenza nelle grandi squadre che capiscono per chi giocano. Matteo è milanista dentro. Lo vedrei bene con la fascia da capitano e con un Nazionale”.
Chissà, magari anche la maglia azzurra arriverà in un nuovo ultimo minuto. Matteo ha imparato a conoscere la calma e la pazienza, sostenuto dall’importanza del lavoro. Questione di testa. Come a San Siro, come nel derby.