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Zigoni? No: Gianmarco. Gli inizi sognando Del Piero, l’esordio con il Milan, la passione per il gol. “Ma ho ancora tanta voglia di giocare”

Credit: Taranto Football Club 1927

Credit: Taranto Football Club 1927

Una vita al servizio del calcio. Prima sulle orme di papà Gianfranco, poi con la sola forza del suo nome. Zigoni? No: Gianmarco.

Il calcio, nel corso degli anni, ha saputo regalarci storie bellissime. Mai nate per caso, ed è bene tenerlo a mente. Ma sempre prodotto di giorni frenetici e di notti insonni, di ore passate a rincorrere il sole e di attimi spesi a disegnare il cielo con lo sguardo. Costantemente rivolto verso l’alto, costantemente alla ricerca di vita. Di libertà. O, meglio ancora: di sogni. Quelli che, spesso, hanno forme sferiche. Proprio come il pallone che tanti bramano, che tutti scherzano, che pochi sanno farsi amico e compagno d’avventura. In questa ristretta cerchia di grandezza, da anni, rientra anche Gianmarco Zigoni. E non per la portata del cognome: bensì, per il desiderio bambino che, con lavoro e valori, ha presto reso realtà. Splendida, realtà.

”Frutto di giorni frenetici e notti insonni”, le stesse che il classe ’91 passa al fianco di papà Gianfranco, ex calciatore che segue da vicino i suoi primi passi. Direzione? Il manto verde. Facile ai più, ma affatto scontato per chi serba continuamente la fame di conquista. Non c’è un limite, non c’è un freno: Gianmarco si emoziona con Del Piero (“il mio idolo, avevo tantissimi poster in camera”, racconta ai nostri microfoni), prende appunti dal padre (”non mi ha mai imposto niente, ma mi dava sempre consigli e non si perde una partita”) e costruisce presto il suo percorso. La sua strada. Il suo nome e la sua unicità. Direzione? Beh: il manto verde. Anzi: l’area piccola.

Un dono o semplice vizio di famiglia? Chissà. Fatto sta che Gianmarco corre forte e non teme. Né la fatica (“Perché ho sempre vissuto per la gioia del gol”), né il pregiudizio. Essere parte di un nucleo prestato al calcio (è anche pronipote di Pierluigi Ronzon, ex Milan e Napoli) scatena sempre sana invidia e competizione. Ma, come detto, il ragazzo si scrolla gradualmente tutto il peso: “All’inizio sentivo un pò la pressione e la responsabilità. Poi, iniziato il mio viaggio nel professionismo, questa sensazione è subito svanita”. Partendo dalla squadra di paese, l’Opitergina, scalando il settore giovanile del Treviso, arrivando fino in cima. Per un lungo istante, per un lungo battito, il Milan diventa infatti casa sua.

Perché Zigoni ha solo 18 anni, quando varca i cancelli di Milanello. Dal biancoceleste al rossonero, tutto in sei mesi. Come nelle favole: “Il Diavolo mi ha chiamato dopo il mio esordio in Serie B con il Treviso, dove avevo segnato 2 gol. Ho avuto l’onore di fare il ritiro con i grandi campioni del tempo. Sicuramente è un’ambiente a parte, dove è difficile rimanere”. Ed è per questo motivo che, ai giovani, lascia questo messaggio: “Date tutto, impegnatevi con serietà, mangiate e dormite bene, portate avanti una vita equilibrata e rispettate i veterani”. Del resto, è la ricetta che lui stesso ha seguito. Riuscendo a esordire, in Serie A, con la maglia del Milan. Per un lungo istante, per un lungo battito. Riavvolgiamo il nastro.

“Esce Inzaghi, entra Zigoni”: storia di una serata indimenticabile

28 marzo 2010. La cornice: San Siro. La partita: Milan-Lazio. La novità: il numero 17. Giovanissimo, nel pieno dell’energia (segnerà persino una doppietta in finale di Coppa Primavera contro il Palermo), indiscutibilmente in rampa di lancio: proprio lui, proprio Zigoni. Che ricorda così, quella magica serata e quelle luci lì, per cantarla alla Vecchioni: “Era un obiettivo riuscire ad esordire in prima squadra. Non andavo spesso in panchina, forse era la mia prima in assoluto. Potevo però aspettarmi spazio, perché era un periodo in cui mancavano Pato, Ronaldinho e Huntelaar.  Leonardo fece un 4-4-2 al posto del suo solito 4-3-3, quindi con Inzaghi e Borriello in panchina c’eravamo solo io e Simone Verdi, altro ragazzo della Primavera. Ricordo che feci il riscaldamento sotto nel tunnel, quando mi hanno chiamato per entrare è stata un’emozione unica”. Minuto 78. Esce Pippo Inzaghi, entra Gianmarco Zigoni. Cos’altro aggiungere?

Nell’ambito di una comproprietà che porta Sokratis e Amelia al Milan, poi Gianmarco finisce al Genoa: “Non ero convintissimo, difatti pensavo di giocare più in prima squadra. Ma il ritiro con Gasperini è stato molto duro a livello di fisico e mi ha insegnato tante cose: si correva molto, con grande dispendio di energia. C’erano campioni come Luca Toni, ho conosciuto Ranocchia e ho imparato molto anche da Juric”.   La cui visione diversifica nettamente l’approccio al gioco, perché “al Milan facevamo meno lavoro a secco e più con il pallone” mentre ”in rossoblù il lavoro era incentrato sulla parte fisica”. Anche se il più prezioso degli insegnamenti resta l’umiltà impartitagli dai grandi. Tra loro, un maestro: “Sì, parlavo moltissimo con Bonera, Antonini e Favalli. Ma ricordo con particolare affetto Andrea Pirlo. Una persona tranquillissima che, in campo, faceva qualsiasi cosa con una semplicità imbarazzante”.

Gianmarco Zigoni - Credits Union Clodiense
Gianmarco Zigoni – Credits Union Clodiense

Spal, un’emozione per sempre. Oltre le avversità

Ci sono stati, i momenti di buio. Innegabile. Ma il cobra (“mi ha chiamato così un mio compagno di Primavera al Milan, poi il mito si è simpaticamente esteso”) ha sempre saputo rialzare la testa. Con ”determinazione, perfezionismo e voglia di vincere”, tratti salienti della sua identità insita. Che non disdegna altruismo e rispetto, nonostante il campo richieda un cambio di attitudine:Punti di forza? Senso del gol, colpo di testa, movimenti negli ultimi 16 metri, e ho anche una buona tecnica”. Anche se “avrei potuto migliorare la difesa della palla e nell’essere più egoista in determinate situazioni”.

A dimostrazione quanto il desiderio di migliorare sia sempre stato ai vertici delle priorità. In due piazze, soprattutto. Due piazze per le quali Gianmarco ha scritto la storia. Avellino e Spal. Eccole, le tappe ricordate con maggiore orgoglio. Ed è facile capire il perché: “In queste due realtà ho vinto i tre campionati della mia carriera, sono stati attimi bellissimi. Avellino vive per il calcio, ha un tifo spettacolare. E feci io il gol della promozione contro il Catanzaro, ancora più incredibile. Ma prima ci metto la Spal, i miei anni migliori sotto il profilo realizzativo e prestazionale. Ho instaurato un legame speciale con i tifosi e con la maglia. Abbiamo fatto la scalata dalla C alla A…non so cos’altro dire. La piazza piena, il pullman scoperto, la Serie A dopo 50 anni: è stato tutto magnifico”.

Zigoni: “In Italia quando resti svincolato per tanti non esisti più”

E irripetibile, purtroppo più che per fortuna. Perché l’esperienza ferrarese lascia anche un duro rimpianto: “Mi dispiace non aver partecipato alla Serie A. Se avessi provato la Serie A da protagonista avrei la coscienza un po’ più pulita. Hanno tenuto Antenucci e Floccari, molto più esperti di me. Poi arrivarono Borriello e Paloschi. Oramai è andata così…”. Il graffio inciso nella storia, però, resta. Nonostante gli anni a venire riservino più dubbi che certezze: “Dopo Venezia (esperienza di cui ricorda l’incredibile tripletta-salvezza contro il Carpi) ho avuto un problema al tendine e, da lì, sono finito in Serie C. Un po’ una batosta: capisci quanto sia difficile salire e quanto poco ci si metta a cadere. Dai 30 anni in poi ho un po’ rimpianti, non sono tornato il giocatore che ero prima e ciò mi dispiace”.

Ma ciò non toglie il sopracitato desiderio di rivedere Zigoni in azione: “Uno/due anni senza giocare moltissimo mi hanno fatto perdere ritmo. Il primo anno in C forse non avevo la testa serena per fare bene. Poi sono andato avanti così e così. Oggi mi sto allenando con una squadra di Eccellenza qui a Verona. E non so perché in Italia, quando resti svincolato, per tanti non esisti più. Guardano molto l’età ma io ho voglia di giocare e infatti mi sono arrivate delle proposte dalla Serie B e dalla Serie C. 

“Non si è ancora concretizzato nulla, anche perché non ho sentito le vibrazioni giuste. La mia idea resta rimanere tra i professionisti Farò le mie valutazioni: stare a casa non è bello e non è facile”. Ma il tempo, si sa, restituisce a chi osa. E Gianmarco, su questa prerogativa, sa di aver costruito tutto il suo viaggio. Che, per inciso: non è ancora terminato.