La Serie C era il campionato dei fenomeni in panchina: Sarri vs Allegri, quando nacque la rivalità

Sarri, allenatore Lazio (IMAGO)
La gavetta d’oro dei grandi allenatori di oggi
La storia del calcio italiano è costellata di successi inattesi e, spesso, le sue storie più belle iniziano lontano dai riflettori patinati della Serie A. Il campo della Serie C si è rivelato un vero e proprio laboratorio per alcuni dei migliori allenatori in circolazione. Lavorare in serie minori non è solo un rito di passaggio, ma una vera e propria scuola di resilienza e adattamento, dove i mezzi sicuramente limitati e la pressione del risultato obbligano i tecnici a sviluppare una mentalità pragmatica e, al contempo, innovativa.
Tra i maestri che hanno mosso i primi passi in categorie inferiori, spiccano figure come Luciano Spalletti e Claudio Ranieri. Spalletti ha iniziato in Serie C con l’Empoli prima di spiccare il volo, apprendendo l’arte di plasmare squadre vincenti con risorse limitate. Il culmine è stato il trionfo Scudetto con il Napoli, una parabola che testimonia come la fame e la gavetta siano ingredienti fondamentali. Ranieri, il “Sir Claudio” famoso per la sua impresa col Leicester, ha iniziato la sua trentennale carriera da allenatore nel Cagliari in C, un’esperienza che gli ha donato quel tocco umano e quella capacità di gestione dello spogliatoio che lo rendono unico.
Un altro esempio illuminante è quello di Roberto De Zerbi. La sua ascesa è stata più rapida e legata a un’identità di gioco ben precisa: il suo calcio aggressivo e basato sul possesso è nato e si è affinato a Foggia, club dove ha lasciato un’impronta indelebile e città che pochi mesi fa gli ha consegnato la cittadinanza onoraria. La sua filosofia, portata poi con successo in Serie A, in Premier League e ora in Ligue 1, dimostra che le idee rivoluzionarie possono germogliare anche dove meno te lo aspetti. La Serie C è stata per lui la piattaforma per dimostrare che, anche senza i grandi nomi, si può imporre uno calcio propositivo e ben organizzato.
Il percorso di crescita è diverso per chi, come Filippo Inzaghi, eredita il peso di una carriera da top player. Per un ex bomber di razza, la transizione in panchina è spesso un’arma a doppio taglio. Se da un lato l’esperienza e l’autorità conquistata sul campo offrono un vantaggio iniziale, dall’altro la mancanza di una vera “gavetta” delle serie minori può rendere più complesso l’adattamento alle realtà meno blasonate. Inzaghi ha dimostrato tenacia, ripartendo dalla Serie C con il Venezia dopo la prima esperienza da allenatore del Milan, riportando i lagunari in Serie B e vincendo la Coppa Italia Serie C.
La ricerca della propria identità
Gli ex campioni, una volta appese le scarpe al chiodo, devono affrontare la difficile transizione dall’essere talentuosi esecutori a pensatori e costruttori di squadre. La vera sfida non è solo ottenere risultati, ma definire una propria identità tattica, slegata dai successi del passato. Devono dimostrare di saper trasformare l’istinto che li ha resi grandi in un metodo replicabile e insegnabile ai giocatori.
Mentre allenatori come Spalletti e De Zerbi hanno plasmato la loro carriera con una crescita graduale e metodica, gli ex calciatori come Inzaghi spesso si trovano subito sotto i riflettori, con la necessità di trovare un equilibrio tra l’autorità del nome e la flessibilità richiesta dalla professione.

Quando Sarri e Allegri allenavano in Serie C
L’allenatore biancoceleste, a Storie di Serie A, si è raccontato in una lunga intervista parlando anche del giorno in cui ha conosciuto Allegri, in Serie C: “Aglianese-Sangiovannese, 0-0 e zero tiri in porta. Uno spettacolo pietoso. Lì ho conosciuto Max con cui ho sempre avuto un buon rapporto, è un toscano, come sono le mie origini. È chiaro che la visione del calcio può essere diversa, ma significa poco. Il rapporto personale è di stima reciproca”.
E sul suo Sarrismo: “Il gioco di un allenatore è un’ipotesi e poi ci si deve confrontare con quelle che sono le caratteristiche dei giocatori a disposizione. Non sarà mai lo stesso. Certe caratteristiche bisogna esaltarle e non portarle verso quello che dà più gusto a te. Nessuna squadra che ho avuto in seguito poteva giocare il calcio di quel Napoli.”
