In viaggio con Cevoli, l’Ancelotti del Renate: “L’umiltà la stella polare”

Un uomo con i suoi valori, la sua storia e il suo incontro con Renate. Un’intervista a 360°

Cevoli
6 Novembre 2021

Nicolò Franceschin - Autore

Cevoli is on fire”. Un coro si alza tra i giocatori del Renate dopo la vittoriosa trasferta di Lecco. E’ per la loro guida, Roberto Cevoli. Un gesto spontaneo ed emblema del rapporto che l’allenatore è stato in grado di creare con i ragazzi. Con lui il Renate ha cambiato marcia. Quando è arrivato la squadra era uscita dalla Coppa Italia e veniva da una netta sconfitta contro il Padova alla prima giornata. Ora è a quota 26, dopo dodici partite, al secondo posto e a un punto dalla capolista Sudtirol, vantando il miglior attacco dell’intera Serie C. Numeri e prestazioni importanti, il cui merito è anche, o forse soprattutto, da ricercare nell’allenatore. Anzi, nell’uomo, Roberto Cevoli. Nel suo essere, nei suoi valori, nella sua storia. E noi siamo andati a trovarlo in Brianza.

Cevoli, dalla Seconda categoria alla Serie A

Per capire Cevoli non si può che partire dalla sua storia, prima di calciatore e poi di allenatore, e scattare qualche fotografia: “Fino a 18 anni giocavo in seconda categoria in una squadra di Rimini. Era costruito tutto sulla passione e sui sacrifici. Valori di un calcio che oggi non c’è più”. Principi veri. Principi puri. Oppure le esperienze a Jesi, Fano e Carpi: “Retrocedetti tutti e tre gli anni. Mi hanno insegnato ad avere la forza di continuare a crederci”. E a continuare a crederci, i sogni si sono avverati. La vittoria della C1 con la Reggina, gli anni alla Reggiana e al Torino, la Serie A con il Modena. Nel 2005 Cevoli si sposta. Di pochi metri, quelli che separano il campo dalla panchina: “Mi chiamò Camolese per fare il suo collaboratore a Vicenza, tutto inizia così”.

Girare, viaggiare, conoscere

Un cambiamento naturale, quasi fisiologico, con una costante: la voglia di imparare e crescere, prima di tutto come persona. L’insegnante? La vita. Le esperienze non mancano, i sacrifici neppure. Ma Roberto lo sa. Gli anni fermo dopo Monza, dal 2010 al 2012: “Non so ancora il motivo”. L’anno in Cina a costruire un settore giovanile: “Confrontarmi con un’altra cultura mi aprii la mente. Ho imparato tanto anche dai ragazzi che allenavo. Dalla loro dedizione e dalla loro cultura del sacrificio”. La ripartenza dall’Eccellenza a Sanremo nel 2015: “Sono sempre stato me stesso. Lo stesso allenatore in qualsiasi categoria. Ricordate, ci sono tanti dilettanti tra i professionisti e tanti professionisti tra i dilettanti”. Le difficoltà societarie a Reggio Calabria nella stagione 2018/19: “Ci allenavamo nel campo del Gallico. Facevamo allenamento quando non c’erano gli altri, a volte anche di notte, senza niente. Tutto ciò ci ha unito come gruppo”.

Ancelotti: maestro di calcio, maestro di vita

Ma se vogliamo individuare un momento chiave nella vita di Roberto Cevoli, romagnolo con la cittadinanza sammarinese, forse dobbiamo riavvolgere il nastro al 1995, anno dell’arrivo alla Reggiana. È qui che incontra l’allenatore e l’uomo che più di tutti l’ha segnato, Carlo Ancelotti: “Mi è rimasto dentro. Una persona di un carisma meraviglioso. Donava serenità e tranquillità. Sempre coerente”. E poi l’incredibile umiltà: “Facemmo una trasferta ad Andria in treno. A metà viaggio ci fecero cambiare carrozza e dovemmo spostare tutti i bagagli. Molti miei compagni non presero le borse. Rimanemmo io, Ballotta e Ancelotti. Lui se ne prese quattro o cinque e si mise a portarle in mezzo alla stazione. Un altro non lo avrebbe mai fatto”. E Cevoli, nell’uomo e nell’allenatore che è, lo ricorda, Ancelotti.

Cevoli con Ancelotti

Essere allenatore

Nel parlare con Roberto Cevoli è venuto naturale porgli una domanda. Cosa vuol dire fare, o meglio, essere allenatore: “Trasmettere e lasciare qualcosa ai giocatori. In tutti i sensi: del rispetto, del sacrificio, del lavoro. Io credo in questi valori. Poi vengono le mie idee di calcio. L’allenatore dipende dai giocatori. Io metto la mia esperienza al loro servizio”. Anche se la società contemporanea, nel suo esaltare l’immediatezza, il mito dell’estetica e la vuota superficialità, va nel senso opposto. E a pagare il prezzo sono i giovani: “I ragazzi non hanno più nella loro mentalità la cultura del lavoro. Cerco di trasferire nel mio essere l’allenatore questi principi: umiltà e fatica”. Dalla seconda categoria alla Serie A. Da Ancelotti a Renate.

Cevoli e il Renate. Storie diverse, stessa natura

Ed è a Renate che ci fermiamo. Passato, presente e futuro. Cevoli e Renate. Renate e Cevoli. Raccontare di uno equivale a raccontare anche un po’ dell’altro. Si sono conosciuti e lasciati. Ritrovati e amati. Quello di Cevoli è un ritorno, dopo l’esperienza nel 2017/18. Un ritorno avvenuto dopo le dimissioni di Parravicini. “Ciao Roberto, vuoi tornare?”. “Arrivo”. Cevoli torna sulla panchina dei nerazzurri e restituisce una serenità ormai perduta: “Ho voluto rianimare di positività l’ambiente. I giocatori sono stati bravi a seguirmi e a capire che persona sono. Lavoro e divertimento. Coerenza e rispetto. E in campo ci divertiamo”. E a guardarli da fuori, Cevoli e il Renate, si somigliano. Si somigliano nei valori, nella storia, nell’essenza.

Cevoli e i suoi giocatori

Un uomo puro. Con una passione per la campagna, genuina come lui: “Soprattutto nei momenti di difficoltà amo stare nei miei campi con i miei alberi. La natura ti aiuta a ritrovare l’equilibrio”. La coerenza, il rispetto, l’umanità e l’umiltà come stelle polari. Insegna l’uomo Roberto Cevoli. Parole che lasciano il segno. Un uomo che fa bene al calcio. Perché come Carletto gli insegnò: “I calciatori passano, le persone restano”.

A cura di Nicolò Franceschin