Dal Brasile alla Dolomiti Bellunesi: la scalata di Eduardo Alcides, costruita passo dopo passo. «Mi ispiro a mio padre»

Dias delle Dolomiti Bellunesi, crediti Dolomiti Bellunesi Giuseppe De Zanet Photography, www.lacasadic.com
Crederci, mai arrendersi: semplicemente Eduardo Alcides difensore della Dolomiti Bellunesi
Un percorso fatto di prime volte, di salite dure e di orizzonti nuovi. Un viaggio lungo, dal Brasile all’Italia, attraversato da vittorie luminose e cadute che fanno male, ma sempre affrontato con la stessa, instancabile determinazione. Il professionismo conquistato due volte, con la consapevolezza che questa seconda scalata ha un sapore diverso, più maturo, più vero. Oggi il coraggio e il lavoro duro, quello quotidiano, hanno portato Eduardo Alcides alla Dolomiti Bellunesi. Un difensore che è molto più di un ruolo: è un riferimento, un’anima combattiva. Ai microfoni de LaCasadiC, Eduardo ha ripercorso la sua storia: dall’arrivo in Italia alla tappa alla Primavera dell’Inter, fino alla Serie C.
Un cammino intenso, costruito passo dopo passo, senza mai smettere di credere. “Non è mai semplice affrontare una nuova categoria, però stiamo finendo questo girone di andata in maniera positiva. Ovviamente mancano due partite molto importanti in cui dovremo essere pronti a fare i punti, perché se guardiamo matematicamente potremmo dire che siamo a metà del nostro percorso e quindi dovremo continuare così”. Una nuova categoria ma quella maglia gli resta addosso per il quarto anno consecutivo: “È la mia quarta stagione qua. Diciamo che mi sento un uomo che è riuscito a essere protagonista nella vittoria del campionato dell’anno scorso insieme a Thomas Cossalter, il nostro capitano”. Due figure ormai diventate un simbolo importante: “Per me è una responsabilità perchè, io e Tommy siamo gli uomini della società che devono trasmettere alla squadra la mentalità del club che è: lavorare, lavorare e conquistare gli obiettivi imposti”.
Una stagione che ha visto Eduardo Alcides infortunarsi nel match contro la Pro Vercelli. Una battuta d’arresto che l’ha tenuto lontano dal campo per le sfide contro Lumezzane e Renate. “Ho avuto un infortunio che avevo anche l’anno scorso. Mi portavo alcuni problemi al ginocchio dietro da un po’ perchè comunque mi ero fatto male a fine stagione”. Ma l’importante è stare con il gruppo: “Ho fatto di tutto per dare il mio contributo fuori dal campo, sostenendo sempre la squadra, dandogli una mano come è giusto che sia. Che io sia dentro o fuori dal campo voglio sempre mettere il mio marchio”.
Un atteggiamento da vero leader. Da ragazzo che vuole essere sempre a disposizione della squadra e dei compagni. Che mette il lavoro al primo posto. E gli sforzi vengono visti e premiati. E un gesto particolare è arrivato nel match di Coppa Italia contro l’Union Brescia: la fascia da capitano. “Per la prima volta in stagione. In uno stadio piccolo (ride). È stato entusiasmante indossare la fascia da capitano a Brescia contro una società che ha una storia dietro e che lotta per vincere il campionato”. Un’emozione che si è ripetuta anche in altre gare della stagione: “Anche in alcune occasioni in campo da vice capitano mentre aspettavamo il recupero di Thomas Cossalter. Abbiamo anche Salvatore Burrai che è un elemento importantissimo per noi, che con la sua esperienza e con la sua leadership ci fa capire tante cose”.
Le prime volte
Da un’emozione a un’altra. Dal match contro l’Union Brescia a quello di Vicenza. È il tempo delle prime volte, e contro la formazione veneta è arrivato il primo gol tra i professionisti: “Non ci ho capito più nulla – ride – è stata un’emozione fantastica, unica. Contro un’altra squadra che adesso è prima in classifica e che vuole vincere il campionato e che sta andando molto bene. Non era un periodo semplice non solo in campo ma anche personalmente, quindi è stato uno sfogo quel gol. Ovviamente non ci ha portato la vittoria però mi ha portato delle soddisfazioni per il mio lavoro che faccio ogni giorno e per la fame che ci metto”. Ma questa stagione è delle prime volte. Dal match contro il Vicenza a quello contro la Pergolettese. Un altro gol ma anche i primi tre punti stagionali: “Ottenere i primi tre punti della stagione è stato bellissimo come prima volta per la Dolomiti. Abbiamo vinto quella partita con fatica, perchè è stata una sfida non semplice in cui abbiamo sofferto, però ci abbiamo creduto”. E sul gol: “Quando ho fatto gol mi sono detto: “ci ho preso gusto”. Spero che in futuro ce ne siano altri, perchè a me non piace fermarmi, non mi accontento mai”. Quattro stagioni con la stessa maglia cucita addosso. Non un semplice numero ma 100 presenze con quei colori sulla pelle. E il destino ha voluto che fosse proprio contro l’Inter U23 a tagliare il traguardo: “Bellissimo. Io alla Dolomiti Bellunesi sono cresciuto come uomo e come giocatore. La società dal primo giorno mi ha dato una grossa fiducia facendomi crescere. Anche quando sbagliavo loro non hanno mai smesso di credere in me. Sono contentissimo di aver raggiunto la 100^ presenza contro l’Inter, contro una società in cui ho avuto l’occasione di crescere nel settore giovanile, di vivere esperienze bellissime, momenti indimenticabili e vittorie di campionati”. Ma si sa, non tutto va come previsto.
Una stagione che ha visto l’esonero dell’allenatore: “Non ce lo aspettavamo. È successo tutto in fretta, tutto all’improvviso. Siamo arrivati che il mister è stato esonerato per un cambio di mentalità che serviva a noi ragazzi perchè comunque siamo una squadra giovane. A me personalmente è dispiaciuto un sacco. Io sono stato allenato da lui diversi anni, da quando siamo arrivati secondi in Serie D a quando abbiamo vinto il campionato la scorsa stagione”. Un rapporto che va oltre il campo da gioco: “Non si era creato solamente un rapporto tra allenatore e giocatore, ma proprio un rapporto di amicizia”. E come ogni cambio arriva un volto nuovo: “Poi è arrivato il nuovo mister, che mi piace un sacco. Ha una mentalità incredibile: lavoro, grinta ed entusiasmo. È sempre sul pezzo e a volte ci sta veramente addosso. Però è quello che ci serve. Ci trasmette la voglia di giocare e la grinta. Se c’è un compagno più stanco, l’altro lo aiuta. L’unione è la nostra forza. I risultati poi sono arrivati. Non dobbiamo accontentarci, perché è un attimo passare da far bene a far male. Dobbiamo continuare a lavorare con umiltà, rispettando gli avversari”. Una promozione conquistata lo scorso anno. Una gioia immensa al triplice fischio finale: “Quando senti gli ultimi tre fischi finali di una partita importante che sai che se vinci passi di categoria … è una cosa stupenda! Vedere tutti esultare, i compagni piangere dall’emozione, vedere i famigliari con le lacrime agli occhi, è indescrivibile”. Un clima che non ti lascia parole, ma ti riempie solo di gioia. “Questo è il nostro obiettivo, che è stato conquistato sempre con difficoltà, perchè vincere non è mai facile”. E i ricordi restano indelebili nella mente.

Brasile-Italia e la passione per il calcio
Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se nel 2022 Eduardo Alcides non sposò il progetto della Dolomiti Bellunesi. Una chiamata che ricorda ancora oggi: “C’era Piazzi come direttore. In quel momento mi aveva chiamato lui. Io cercavo una squadra vicino a casa perchè arrivavo da un periodo triste. Era venuto a mancare mio padre e quindi volevo stare più vicino alla famiglia. Ho avuto questa occasione. Avevano un grande progetto, in pochi anni salire in Serie C. Da come mi aveva parlato lui ho detto va bene, vengo subito. Ed è stato questo il motivo, il loro progetto e l’avvicinamento a casa”. Ma come detto, la Serie C non è stata la prima in assoluto della vita di Eduardo. Il difensore infatti aveva raggiunto il professionismo con la maglia del Picerno. “Sono già stato in Serie C ma allora non ero pronto”. Un senso di consapevolezza, di umiltà ma anche conoscenza del proprio valore. “Oggi sono cresciuto come giocatore, la mia mentalità è cambiata. A quell’età, ogni volta che trovavo una difficoltà forse non riuscivo ad andarci sopra e mi abbattevo. Invece adesso sono diverso, ho una mentalità più forte. Sono più uomo, sono maturato”.
Una storia che nasce dal Brasile, paese d’origine di Eduardo Alcides. Ma a tre anni l’arrivo in Italia. E la passione per il calcio è nata proprio per caso: “Il Brasile è conosciuto anche per il calcio. Tutti i miei parenti sono sfegatati per il Flamengo, e questo ha influito a far nascere la passione per questo sport”. Ma non solo. “La verità è che io ho iniziato a giocare a calcio perchè vedevo i miei compagni che ci andavano e quindi mi sono detto “perchè non provarci”. Quindi ho iniziato. Mi sono appassionato un sacco, più di quello non lo fossi già. Il mio percorso calcistico è iniziato così”. E poi i primi passi nel Liventina: “È stato un altro periodo dove ho vinto diversi campionati ed è stato stupendo. Ho avuto l’opportunità di farmi vedere. Sono stati anni fantastici, di emozione, un calcio diverso. Con tutti i genitori, dopo le partite, a organizzare cene di squadra ogni volta”. E da lì la chiamata, quella dell’Inter Primavera. “È stato come il primo gol tra i professionisti… non ci ho capito niente. Ho condiviso il campo con giocatori come Sebastiano Esposito, Oristano. Sono stati momenti indimenticabili, abbiamo trascorso tanto tempo insieme anche perché vivevamo in convitto. Sogno un giorno di poterci giocare nuovamente insieme”. E gli allenamenti con la prima squadra nerazzurra: “Avevamo la possibilità dopo le loro partite di campionato o Champions League di fare amichevoli con loro, contro chi aveva giocato di meno. Ho potuto capire com’è quel mondo, le tattiche”. Successi con la maglia dell’Inter con un uomo in panchina che ora allena in Serie C: Andrea Zanchetta. “Lui mi ha cresciuto e mi ha allenato. È stato un grande mister con me, perché diciamo che anche quando non giocavo mi faceva sentire partecipe e mi ha aiutato nella crescita dandomi informazioni. È stato bello rivederlo quest’anno su un campo di C. Poi io ho giocato anche con suo figlio, Federico, alla Spal”. Ed è proprio la Spal la tappa successiva della vita di Eduardo Alcides. Una nuova tappa, una nuova avventura, una nuova crescita. “Abbiamo fatto un grande campionato facendoci conoscere in Primavera 1. Qui ho giocato con Esposito ma anche Luca Moro, giocatori forti”.
La morte del padre e la vita oltre il campo
Ma un periodo non facile fuori dal campo: “Per me però non è stata la stagione migliore perchè è venuto a mancare mio padre”. Nonostante un periodo non bello, Eduardo Alcides è riuscito a mettersi in mostra tanto da essere chiamato dal Picerno. “Professionismo. Ho giocato poco però è stato stupendo. La mia prima partita è stata in Coppa Italia contro il Palermo: un’emozione grande, bellissima. Quando sono entrato allo stadio mi sono detto Mamma mia, che clima caldo – ovviamente inteso non come clima ma proprio per la magia dei tifosi che è una cosa meravigliosa – indescrivibile”. Una carriera nata come difensore sotto l’idolo Thiago Silva. “Mi è sempre piaciuto fare il difensore. Quest’anno sto facendo il quinto, che non dico che è un nuovo ruolo per me perchè in passato ho avuto l’occasione di farlo. Però in questa stagione lo sto facendo più costantemente, ogni partita”.
Ma cambiare non è semplice. “L’anno scorso ho fatto il terzo e ho avuto la soddisfazione di essere il migliore difensore della stagione. L’approdo in Serie C e cambiare ruolo non è stato semplice. Spero al termine della stagione di chiudere con i numeri giusti, perchè secondo me sto facendo diversi ruoli e a volte sono i numeri che parlano”. E l’idolo presente ancora oggi: “Thiago Silva. È sempre stato lui il mio idolo perchè penso che mi rispecchi”. Un’unione che c’è anche in campo: “Il mio numero di maglia è il 3. Da quando l’ho scelto penso che mi porti fortuna. Poi il caso è che sia lo stesso di Thiago (ride)”. E tra risate arriva il ricordo su un match particolare: la sfida contro il Treviso. “Due anni fa. Quella è stata una gara simbolica per me. Mia mamma è riuscita a venire a vedermi, di solito non riesce per via del lavoro. Quel giorno ho fatto gol ed è stato simbolico. Io poi sono di Treviso, per me rappresentava anche una sfida. Perché dovevo farla bene, altrimenti andavo in giro per la città e mi dicevano: “Mamma mia Alcides”. Non potevo sbagliare quel match”. Il calcio, ma non solo. Eduardo Alcides sogna di diventare un giorno un preparatore atletico o comunque un personal trainer sempre nel mondo sportivo. Lo sport ma sempre un punto di riferimento: il padre. E con un po’ di emozione e giusta malinconia Eduardo racconta: “Mi ha sempre sostenuto, è sempre stato con me. Fin dal settore giovanile, mi seguiva sempre. Lui, mia mamma, mio fratello. È sempre presente ancora oggi nonostante non sia più con noi. È il mio punto di riferimento. Io prendo la sua storia: è arrivato in Italia da solo, poi lo abbiamo raggiunto. Lui ha conquistato tutto partendo da zero. È passato da non avere nulla ad avere tantissime cose. È il mio punto di riferimento, è la mia forza più grande”.

Il sogno di Eduardo Alcides e i tifosi della Dolomiti Bellunesi
“Sogna ragazzo sogna” così canta Roberto Vecchioni. Una canzone ormai simbolo di ogni persona. E anche di Alcides. “Il mio obiettivo è arrivare il più in alto possibile. Sogno in grande come tutti. Per me arrivare in alto è anche vincere la Serie C o la B. Ovvio sogno il massimo campionato. Non so dove arriverò ma farò di tutto per sentirmi sempre in alto”.
A conclusione un messaggio per il dodicesimo uomo in campo, ovvero i tifosi della Dolomiti Bellunesi che seguono la squadra ovunque: “Loro non mollano mai anche se ci sono tante ore di viaggio. Non vedo l’ora che si torni a giocare a Feltre perchè a Fontanarossa è sempre una trasferta per noi. Penso che quando torneremo a giocare nel nostro stadio, dove abbiamo vinto, sarà speciale. Io dico grazie per tutto il sostegno che ci stanno dando e che continuano a darci sempre”.
