Giugliano, Capuano: “Mi hanno fatto schifo, ma non mi arrendo. Il calcio è la mia vita”

L'allenatore Ezio Capuano (credit: IMAGO) - www.lacasadic.com
Le parole dell’allenatore del Giugliano, Capuano, ai colleghi de “Il Mattino”
Ezio Capuano è pronto a scrivere un nuovo capitolo della sua intensa carriera, questa volta con la maglia del Giugliano. Un’avventura che ha già preso forma, con idee chiare e un percorso che si sta delineando con decisione.
Ai microfoni de Il Mattino, l’ex allenatore del Trapani non si è risparmiato, raccontando la sua verità con la consueta schiettezza: “Quello che ho subito è qualcosa di vergognoso. Non li chiamo né giocatori né uomini. Chi porta fuori ciò che accade in uno spogliatoio è un vigliacco. Io so che allenerò ancora per tantissimi anni. Capuano bisogna conoscerlo nell’intrinseco, non nel semantico”.
Un viaggio a cuore aperto, che attraversa tutta la sua storia: dagli allenamenti nascosti ai genitori per inseguire un sogno, fino alla lunga e appassionata carriera da allenatore. Oggi, Capuano è pronto a ripartire con la solita grinta e una voglia intatta di lasciare ancora il segno.
Ed è proprio dal suo soprannome che l’allenatore vuole iniziare il viaggio: “Eziolino, un diminutivo, un soprannome. Anche la mia altezza piccina da bambino mi hanno chiamato Eziolino. Il mio nome di battesimo è Ezio. Calcio per me è passione, trasporto di sentimento, commozione. Non è un lavoro come tanti. Io tendo a dire che una trentina di anni fa il mestiere di fare l’allenatore è come il prete, devi avere la vocazione per poterlo fare, devi avere un entusiasmo notevole per poterlo fare. Trasmetterlo al pubblico alla città che devi guidare. Quando ti mancano queste cose devi smettere. Decido io quando smettere non come qualcuno che aveva deciso di farmi smettere”.
Giugliano, Capuano: “Trapani? Non lo auguro a nessun mio collega”
L’allenatore si è soffermato sul suo recente passato ovvero l’esperienza a Trapani: “Non auguro a nessun mio collega quello che è capitato a me nel recente passato. Lì avevo deciso di farmi da parte perchè avevo schifato questo mondo. Però poi ho pensato: darla vinta a 4 mocciosi, 4 vigliacchi che magari non centrano nulla con il calcio anche se lo giocano. Ma sono prestati al calcio. Quello che ho subito io è qualcosa di vergognoso”.
E sul suo arrivo al Giugliano: “Mi è tornata la voglia di un bambino. Questo grazie a uno spogliatoio di uomini prima che di calciatori. Con questa voglia penso che allenerò ancora per tantissimi anni. Mi sento ancora all’inizio non al crepuscolo. Penso di poter dare ancora tanto, di poter trasmettere le mie idee di entusiasmo. Penso di poter far felice ancora la gente che vive in base al risultato della propria squadra”.

“Mio pare è stato un grande uomo”
Un amore per il calcio, fin da bambino. Un filo rosso che parte dalla giovane età, con allenamenti fatti all’insaputa dei genitori. “Io giocavo nel Vietri Raito settore giovanile più forte, uno dei più forti d’Italia insieme all’Aldini Unes Minalo, all’Almas Roma. Purtroppo sto parlando della preistoria. Eravamo io, Acone, Galderisi, tutti gente che poi ha fatto carriera importante e andavamo a giocare ad allenarci non pagando la filovia, all’ora c’era la filovia. Dovevamo comprare le scarpette che costavano 2700 lire e le 120 lire che ci davano andata e ritorno da Vietri noi compravamo le scarpette. Poi ebbi un incidente molto molto brutto e non potei più giocare a calcio”.
E sul rapporto con il padre, Capuano quasi si commuove: “Mio papà è stato un grande uomo. Un uomo d’onore e io penso di aver preso quei sentimenti, principi che cerco di trasmettere ai miei figli. Io per andare a giocare dicevo che andavo a studiare a casa di un amico. Per andare ad allenarmi buttavo dal secondo piano la borsa con gli indumenti e andavo a fare allenamento. Però lui faceva finta di non vedere, di non sentire, però veniva a vedere con orgoglio le mie partite. Quando ho iniziato il percorso di allenatore lo ricordo, lo vedevo nascosto sugli spalti che veniva a vedere le mie partite”.
Giugliano, Capuano: “Io tecnologicamente sono zero, non so aprire neanche un pc”
Capuano è conosciuto anche per le sue espressioni che hanno fatto il giro dei social. “Io non ho i social, non ho nulla. Io uso Whatsapp da qualche anno perché prima non lo sapevo usare. Io tecnologicamente sono zero non so aprire neanche un computer. Io dico che questo aspetto mediatico che mi ha fatto conoscere, anche per qualche cazzata mia, esternazione di anni fa non ha messo in evidenza il valore intrinseco le qualità di allenatore. Io sono contento di quello che ho fatto e voglio sempre migliorare, voglio aumentare il mio bagaglio”.
Un Capuano anche aziendalista. Non poteva mancare un commento sulle plusvalenze che i club ottengono nel corso della loro storia: “La soddisfazione qual è? Quando fai delle plusvalenze perché poi il calcio è un’azienda che si regge con costi e ricavi. Se ci sono solo costi alla fine finisce tranne se non sei una persona ricchissima. I ricavi chi te li dà? La plusvalenza. La costruzione di un giocatore magari che riesci a migliorare e poi venderlo. Nella mia carriera penso che nessuno e dico nessuno in questa serie abbia venduto tanti giocatori o meglio le squadra abbiano fatto plusvalenze come quelle fatte con Capuano”.

Il sogno Salerno e la poesia di Leopardi
Come detto, Capuano ha sempre amato il calcio e il suo sogno da bambino è sempre stato uno: “Ho sempre detto che Potenza era una squadra che tifavo. In primis la salernitana perché ho vissuto per 40 anni a Salerno, sono nato a Salerno. Bisogna dire sempre la verità. Io nasco tifoso della Salernitana e nasco con il sogno di allenarla perché nella vita bisogna essere schietti, sinceri”. E sul ricordo di quell’Arezzo: “Stimolai la squadra in maniera forte come nel mio costume dopo una partita che perdemmo di giovedì contro una squadra di promozione. E bene fece quel ragazzo che pensò di registrare, di mandarla a un amico che andò virale. Io chiesi chi fu stato, nessuno mi ha risposto. Andai in fondo, sono cose brutte. Io penso che chi porta fuori le cose dallo spogliatoio è un vigliacco”.
A conclusione Capuano si sofferma sulle sensazioni durante le partite e sul fatto di presentarsi in conferenza al termine delle gare: “Io dopo una partita dovrei stare in un frigorifero per almeno 5 ore e poi uscire. Quello che si prova prima di una partita e dopo una partita è difficile da portelo descrivere. Vedi anche le reazioni di conte. Un allenatore è un essere umano, una persona forte e debole nel contempo. Dopo una partita magari puoi dire delle cose che non hai mai pensato“. E sulla poesia di Leopardi “Il Sabato del Villaggio” che lo rappresenta, il commento dell’allenatore è semplice: “Un’opera importante di Giacomo Leopardi. Ti dice che non esiste la gioia, esiste l’attesa. Nel momento in cui la gioia si materializza finisce lì. Cosa voglio dire? Lo dico nel calcio: Tu il sabato se giochi la domenica dici domani vinco? Che succede se prendo un calcio d’angolo, se prendo una palla laterale, se prendo una reazione, ci riesco non ci riesco? La gioia più bella per un essere umano penso sia la nascita di un figlio. Quando tua moglie è in sala parto sei lì a dire speriamo che vada tutto bene. Quando esce il bambino è finito. La gioia se vai in fondo non esiste. È l’attesa che ti fa vivere la gioia. Questo è un mio convincimento e l’enfatizzazione di tutto ciò è nell’opera di leopardi del sabato del villaggio”.
