Dal “Principe” all’allenatore delle salvezze, Occhiuzzi: “Voglio tornare in panchina”

Roberto Occhiuzzi al Cosenza, www.lacasadic.com
Roberto è pronto. Lo è sempre stato. Ora aspetta solo il momento giusto per scrivere un nuovo capitolo, fatto non solo di salvezze, ma di gloria, coppe, promozioni. Perché chi nasce con il calcio nel cuore… non smette mai di sognare.
Stare lontano dai campi, per chi vive di calcio, non è mai una prova facile. Roberto Occhiuzzi lo sa bene. «Spero che arrivi presto la panchina giusta», confida a LaCasadiC con la calma di chi ha imparato a non farsi prendere dall’ansia. «Sono fiducioso, credo profondamente in me stesso. So di essere nei pensieri di molti direttori sportivi, e questo mi dà forza. Il calcio per me non è solo un mestiere, è vita. Quando resti lontano dai campi così a lungo — ormai quasi un anno — lo senti dentro, come una ferita. Non è semplice. Resto qui, in attesa, con pazienza, senza fretta. Con lo stesso spirito di sempre: quello del lavoro».
Si racconta con sincerità, svelando un uomo profondamente legato alla famiglia e ai valori semplici della vita. «Sono un papà che ama i figli e la moglie. La famiglia per me è tutto», dice con dolcezza. «Ora che ho fondato questa Academy, mi emoziona seguire i ragazzi, supportare gli allenatori, far crescere questo progetto con passione. Ma soprattutto, adoro poter stare vicino ai miei figli, aiutarli a crescere. Il mio lavoro è strano: un giorno ci sei, il giorno dopo sparisci per mesi. Per questo voglio esserci per loro, il più possibile».
Umile e riservato, Roberto non ama imporsi fuori dal campo. «Vengo da un paese di mare, cresciuto su campi di pietra, senza erba né sintetico. Quando esco dagli stadi, torno sempre a quelle radici, Sono solo una persona che rispetta gli spazi altrui, che vive con discrezione e rispetto». Per lui, il calcio non è solo uno sport: è un sentimento, una passione nata nell’infanzia, nei ricordi più puri, nel legame con il padre che gli ha trasmesso quell’amore per il pallone racconta con emozione. «Nel mio paese, in Calabria, si seguivano i miti… e per me il mito era Marulla. Tifavo Cosenza e andavo allo stadio con gli occhi pieni di sogni. Quell’emozione, il calore della gente, ti entra dentro. Da bambino sogni, immagini, desideri. E poi, un giorno, quel sogno diventa realtà». Quel sogno ha un nome preciso: la maglia del Cosenza. Esordire davanti alla sua gente, nella sua città. Un sogno diventato realtà, un’emozione difficile da raccontare a parole.
«È stato incredibile. L’anno prima ero in curva da tifoso a festeggiare la vittoria del campionato di Serie C… e l’anno dopo ero in campo, in Serie B. Una favola». Prosegue: «Indossare i colori della tua città, difenderli… è qualcosa che resta dentro. Vengo dalla provincia, e il senso di appartenenza è fortissimo. Cosenza non è solo una squadra, è un’identità, una piazza importante, con tanti tifosi sparsi ovunque. È questa la vera emozione». Da questo legame nasce un soprannome che ancora oggi lo fa sorridere: Il Principe. «Se ricordo bene, tutto è nato dopo un gol. Lo speaker dello stadio mi chiamò così: ‘Il Principe’. Mi è piaciuto subito. Racconta qualcosa di me, della mia personalità».
Da calciatore ad allenatore: la seconda vita di Roberto Occhiuzzi
La carriera di Roberto Occhiuzzi è fortemente legata al Cosenza, club con cui ha condiviso gran parte della sua vita calcistica, prima da giocatore e poi da allenatore. Un passaggio chiave del suo percorso è stato l’incontro con Domenico Toscano: «Io e Mimmo siamo stati compagni di squadra sia a Cosenza che al Rende. Ci siamo ritrovati a Cosenza durante la sua prima esperienza da allenatore, ma si vedeva già che aveva qualcosa di speciale: voglia, predisposizione. Si intuiva subito che era portato».
Anche Occhiuzzi sentiva dentro di sé la vocazione all’allenatore già da calciatore, grazie alla sua attenzione tattica e alla passione per il gioco: «Anche io, da calciatore, ero molto presente a livello tattico in campo. Sentivo dentro quella vocazione. Allenare è qualcosa che nasce mentre giochi, è un fuoco che si accende dentro. Quando ho smesso di giocare, avevo 34 anni. La prima cosa che ho pensato è stata: voglio allenare. Ho avuto la fortuna che Patania mi chiamò subito per guidare l’Under 17 del Cosenza. Quella squadra era piena di ragazzi promettenti, c’era anche Collocolo, che poi ha fatto strada. Allenare i ragazzi ti forma profondamente. Serve passione, voglia di studiare, aggiornarsi. Finire da calciatore non ti rende automaticamente pronto per la panchina. È un mestiere diverso, che devi costruire passo dopo passo». Tra le figure che lo hanno influenzato di più, cita l’allenatore Sonzogni, uomo di poche parole ma molto incisivo, e altri allenatori come De Angelis, Fontana, Braglia e soprattutto Pillon. Di quest’ultimo Roberto ricorda: «Mi ha lasciato un’impronta profonda in poco tempo, soprattutto umana. È una persona fantastica, con lui ho imparato cosa significa entrare in empatica con gli altri».

La salvezza da film
Per Roberto, sedersi sulla panchina del Cosenza non è stata solo una tappa professionale, ma il coronamento di un sogno. «Sentivo una responsabilità enorme. Non solo verso la squadra, ma verso quei ragazzi che avevano bisogno di una guida. L’allenatore si era appena dimesso, la squadra era penultima, c’era il lockdown…». Si respirava scoraggiamento, difficoltà. Ma l’impresa è stata compiuta. Non solo una salvezza miracolosa ma una rimonta da leggenda, un esempio che ha fatto il giro d’Europa. «La storia ha dato senso a quella scelta. È stato un miracolo vero, costruito con sacrificio, passione e fede nel gruppo. Un sogno che si è avverato. E resterà per sempre nel cuore di chi c’era».
«Al di là del record, al di là della salvezza, siamo entrati nella storia. Forse tra qualche anno se ne parlerà ancora di più. Quella squadra meriterebbe un documentario. Dieci partite, dieci battaglie, piene di aneddoti incredibili. Un vero film». Ma non era solo questione di risultati: era identità, cuore, sudore, emozione autentica. «Far sentire la mia città orgogliosa dei suoi calciatori… è stata la cosa più bella. In quella squadra, calabresi veri c’ero solo io e il mio staff. Eppure sono riuscito a far vivere quel senso di appartenenza anche a tutti gli altri».
Dal “Principe” all’“Allenatore delle salvezze”: l’orgoglio di Occhiuzzi e la fame di vittoria
Un nuovo soprannome, l’uomo delle salvezze. Un’etichetta che parla di imprese difficili, di momenti in cui la speranza sembrava svanire e invece si è trasformata in orgoglio. «Sì, è un soprannome che porto con grande orgoglio», confessa Roberto. «Oltre alla salvezza storica con il Cosenza, quella con l’Olbia è stata un’impresa incredibile». Quella voglia di lottare per salvare una stagione si trasforma in un desiderio più grande: dimostrare che può essere anche l’allenatore delle promozioni, dei trionfi. «Vorrei diventare anche questo, l’allenatore dei campionati vinti. Lo sogno davvero. Non vedo l’ora di tornare in campo, guidare un gruppo che mi permetta di trasferire tutta la mia passione».
La stagione appena trascorsa ha lasciato una ferita aperta nel cuore di tutta Cosenza. La retrocessione in Serie C e Roberto Occhiuzzi non può restare indifferente. «Sì, ho seguito la stagione da vicino. Non è facile parlarne. Capisco profondamente la delusione dei tifosi. Ora serve voltare pagina». Parlando dell’attuale calciomercato, Occhiuzzi si mostra attento e curioso. «Mi sta affascinando molto il mercato che si sta creando tra Catania e Salernitana. Ci sono dinamiche interessanti e sono curioso di vedere come lotteranno in campionato. Devo dire che il trasferimento di Tiago Casasola al Catania mi ha sorpreso: pensavo sarebbe andato a Salerno. Però mi piace molto il fatto che si sia ritrovato con un allenatore simile a lui, un allenatore pratico, esigente e instancabile. E Tiago è proprio quel tipo di giocatore».

I giovani e il futuro
Parlando di giovani talenti e dell’importanza di creare una squadra coesa, Occhiuzzi racconta con entusiasmo il progetto a cui tiene di più: la sua Accademy. «L’ho avviata in un centro universitario, proprio perché vengo dal settore giovanile e so quanto sia fondamentale intervenire fin dai primi passi. Spesso si guarda solo ai talenti che arrivano in Primavera o prima squadra, ma il lavoro vero comincia molto prima. Non si può trascurare la coordinazione, che va curata sin da piccoli. Allegri ha ragione: la tecnica è la base di tutto. Senza tecnica, non puoi costruire niente. Questa è la base per tutti, anche per chi vuole diventare professionista».
Come detto Occhiuzzi è alla ricerca di una nuova avventura: «Tornare ad allenare è la mia priorità assoluta. La Serie B, è un campionato che sento molto mio. La Serie C, invece, mi affascina perché permette di lavorare con i giovani, di costruire qualcosa con calma e continuità. Il mio calcio ha bisogno di tempo per crescere e svilupparsi. Non mi dispiacerebbe neanche tornare a lavorare nel settore giovanile, è un percorso che mi interessa molto. Il sogno è tornare presto in Serie B, anche se so che non è semplice. Finora ho ricevuto offerte soprattutto da squadre di Serie C ma poi hanno fatto scelte diverse».
A conclusione un pensiero per chi vuole intraprendere la carriera da calciatore: «Seguite il sogno, ma partite sempre dalla passione. Ricordo quando da bambino, prima di una partitella con amici ero emozionatissimo. Oggi vedo i miei figli fare lo stesso, prepararsi con entusiasmo. La passione nasce dalle piccole cose». E per chi invece vuole diventare allenatore: «Serve tanto studio, molta passione e soprattutto non mollare mai, nemmeno mei momenti difficili. Quei momenti sono fondamentali per crescere. La passione deve essere la base di tutto».