Recanatese, Sbaffo: “Qui ho riscoperto il mio amore infinito per il calcio”

Le parole del "Re Leone"

sbaffo recanatese
14 Dicembre 2022

Redazione - Autore

Dopo aver girato in lungo e in largo l’Italia, Alessandro Sbaffo si è reso conto che la felicità era a due passi da casa. A Recanati. La città di Giacomo Leopardi ha ispirato il ‘Re Leone’, che della Recanatese è diventato capitano in Serie D trascinandola per la prima volta nella sua storia nel professionismo a suon di gol e giocate d’autore. A LaCasadiC.com, Sbaffo si è raccontato andando tra le pieghe del suo modo di pensare e di vivere l’amore puro che prova per il calcio. Molto più di una folta chioma che assomiglia a una criniera. La sua forza non è nei capelli ma in un cuore grande che vive e si alimenta di emozioni assorbite sui campi di calcio.

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Sbaffo: “La Serie C una sfida affascinante e complicata, ma ora ci siamo calati nella categoria”

Dopo un inizio in salita, la Recanatese ha iniziato  a far punti: “Era prevedibile che la Serie C sarebbe stato un campionato complicato per noi, che siamo una neo-promossa. Non devo dirlo io che la Lega Pro è una realtà differente rispetto alla LND. Non abbiamo neppure avuto il tempo di goderci la promozione e la vittoria dello scudetto di Serie D che ho iniziato a vedere gente andare avanti e indietro a tutta velocità. Direttori, dirigenti, alle prese con un iter burocratico da seguire con grande attenzione e da espletare in poco tempo. A maggio eravamo in D, a giugno siamo ripartiti in un altro mondo. Oltre a Ferretti, Carpani e Marilungo, la Recanatese è una squadra di esordienti. Un avvio complicato era da mettere in preventivo, ma abbiamo preso le misure alla categoria col passare delle giornate. Peccato solo che nelle ultime tre, quattro settimane, alle buone prestazioni non sono corrisposti i punti che avremmo meritato di raccogliere”.

Sbaffo Recanetese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Sbaffo: “Tutto è cambiato quando ho capito che il mio sogno stava svanendo”

Non c’è talento senza tormento e Sbaffo racconta con una maturità ormai raggiunta il suo percorso interiore, che lo ha accompagnato lungo quello della sua carriera: “Arrivi a un punto nella vita in cui diventi uomo, acquisisci consapevolezza di chi sei ancor prima che dei tuoi mezzi. Io sono arrivato a quel punto quando il mio sogno stava svanendo. Prima ero più fragile emotivamente e c’era gente, a cui non faccio una colpa, che non comprendeva i miei comportamenti che erano dettati da determinati stati d’animo. Quegli stati d’animo che incidevano sulle mie prestazioni. Mi perdevo tra i pensieri, nella mia mente, ma dopo il Covid tutto è cambiato”.

Sbaffo Recanatese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Il litigio con Torrente, il Südtirol sfumato quando aveva trovato già casa a Bolzano e la scelta di restare vicino alla famiglia

Da una grande crisi è nata una grande opportunità: “Sono andato a Gubbio e proprio mentre cominciavo a essere importante per la squadra ho litigato con Torrente. Ho iniziato a trovarmi male e sono andato via. A gennaio avevo già trovato casa a Bolzano, avrei dovuto giocare nel Südtirol, ma all’ultimo giorno la società decise di non tesserarmi. La fiammella si stava spegnendo ed è arrivata la chiamata della Recanatese. L’ho accolta con curiosità. Mi sono sentito stimolato dall’idea di provare qualcosa di diverso per quanto potesse sembrare un azzardo scendere in D, dato che avevo altre richieste in C”.

Mi sono fermato a ragionare, la mia compagna era incinta del mio terzo figlio e ho pensato che in piena pandemia sarebbe stato prudente stare più vicino alla mia famiglia. A prescindere dalla categoria. Così ho accettato l’offerta della Recanatese. La Recanatese è stata come un mezzo di trasporto su cui sono salito per iniziare il mio viaggio interiore più importante. È stata una benedizione, così grande da farmi superare anche un infortunio importante il primo anno. Ora per me giocare a calcio è tornato a essere un puro divertimento. Sono tornato ad assaporare quella passione che mi faceva stare bene e male. Ho sempre saputo di avere delle potenzialità, ma alla prima difficoltà cadevo. Adesso sono una roccia.

Sbaffo Recanatese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Sbaffo, Giacomo Leopardi e Recanati: “Qui si respira cultura e poesia. La gente è un po’ pazza, proprio come me e la squadra”

Niente social, addirittura niente WhatsApp e una scelta di vita mai così azzeccata: Io vivo a Porto Recanati, sono nato a due passi dal mare. La mia compagna è di Recanati. Era destino. La città è bella esteticamente, sottovalutata. Senti la presenza di Giacomo Leopardi, che ti ispira anche in campo. Siamo stati bravi a far diventare anche il calcio cultura qui dove tutto è cultura. La respiri nell’aria. Qui è tutto genio e sregolatezza. Un pizzico di follia lo respiri anche tra gli abitanti, ci sono tanti personaggi estemporanei che adoro e con cui mi fermo a parlare. E anche la Recanatese ha assorbito questa positiva follia. Qui è come se il tempo si fosse fermato. Loro amano la semplicità. Per me Recanati è stata fonte di ispirazione.

Sbaffo Recanatese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Sbaffo e l’ispirazione da ‘Un calcio alla città’ di Domenico Modugno

Ispirazione. In una parola il modo di vivere il calcio di Alessandro Sbaffo, che quell’ispirazione a Recanati la trova dovunque. Entriamo sul rettangolo di gioco e dagli altoparlanti parte ‘Un calcio alla città’ di Domenico Modugno. Invito tutti ad ascoltarla facendo attenzione alle parole. Parla di una giornata qualunque e dice: ‘Basta andare a lavoro, andare a timbrare il cartellino, ci siamo dimenticati di andare a fare una passeggiata, in campagna. Viva la libertà e l’amore’. Come può non capire che c’è bisogno di leggerezza e di amore per la vita e quello che facciamo per riuscire a godercelo e a vincere. Non abbiamo una Curva stracolma di gente ma ai giovani, da 32enne che ora sono, dico: ‘Ragazzi, ascoltatevi dentro. Se imparerete a sentirvi la forza e la carica la troverete lì dentro”.

Tifosi Recanatese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Sbaffo centravanti? Un’intuizione di Nicolato al ChievoVerona

Alla Recanatese Sbaffo si è trasformato in tutti i sensi. Da trequartista, a mezzala, a centravanti: “A livello tattico da più giovane mi avevano già provato come punta. Per due anni ho giocato le semifinali scudetto con la Primavera del ChievoVerona, che allora allenava l’attuale Commissario Tecnico dell’Under 21 Paolo Nicolato. Fu proprio lui a capire che lì potevo giocarci. Pensava avessi doti importanti sottoporta. Quello che ora mi sta permettendo di esprimerle appieno è la convinzione, credere che, anche se sembra impossibile, la palla arriverà se ci crederai e ti troverai al momento giusto nel posto giusto. Il resto lo fa la varietà di colpi che ho e che è oggettivamente molto importante sapendo far gol col destro, sinistro e i colpo di testa. Ho cominciato a riempire l’area, a studiare come farlo, a vivere la partita anche spalle alla porta e mi diverte. Mi ci trovo bene e mi piace giocare da attaccante anche se il gusto di costruire non l’ho perso e ogni tanto ne viene fuori qualche discussione con Giovanni Pagliari perché vuole che stia dentro l’area”.

Sbaffo Recanatese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Sbaffo, il Chievo con Pellissier, Luciano, Pinzi, Yepes e Marcolini: “Avrei dovuto rifiutare qualche prestito per imparare da loro”

E a proposito di Chievo, se Sbaffo ha un rimpianto è proprio relativo a quei tempi: Venivo girato in prestito, ma caratterialmente a 19, 20 anni non ero ancora così forte da non lasciarmi abbattere o condizionare nell’umore e negli atteggiamenti. Gli allenatori vedevano in me quello che io non riuscivo a vedere e che adesso comprendo. Se avessi una penna per riscrivere una pagina del mio passato sarei rimasto al Chievo, di più in Serie A. Avevo le qualità per starci. Avrei dovuto rifiutare uno di quei prestiti da 6 mesi o un anno. Il primo mese sarei rimasto fuori anche per punizione, ma alla fine avrei assorbito come una spugna da gente del calibro di Luciano, Pinzi, Yepes, Marcolini, Pellissier e Mandelli. La mentalità ancor prima che tutto il resto. A Verona, con il Chievo, ho capito cosa deve avere un giocatore per emergere. C’era gente che arrivava dalla B, che non avrebbe mai giocato altrove in A, ma col Chievo ci riusciva applicandosi e lottando. Se sei circondato da gente che lotta e sogna per farcela puoi trarne solo beneficio”.

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Sbaffo e Pagliari, marchigiani doc: “Se le cose vanno male volano borracce e parolacce, lo adoro”

Silvio Pagliari è stato il suo agente, suo fratello Giovanni è il suo allenatore: “Sono delle persone che nel bene e nel male sono sempre state presenti. Silvio ha creduto in me e legittimamente si attendeva di più. Ho così deciso di fare il mio percorso, scandito anche da errori fatti e che continuerò a fare. Ci siamo salutati senza nessun rancore. Silvio è subentrato a Federico Giampaolo, fratello di Marco. Tra marchigiani ci siamo capiti subito. Noi siamo gente malata di calcio e lui è uno di quegli allenatori vecchio stampo che adoro. Volano le borracce negli spogliatoi, urla e parolacce se le cose non vanno bene. E poi è permaloso, se la lega al dito, ma alla fine ci fai pace. Come tutti i più grandi allenatori è un fine psicologo. Ogni tanto se ne viene fuori con una soluzione che io penso sia piuttosto improbabile, ma alla fine ha ragione e capisci che l’allenatore è lì proprio per quello”.

Silvio Pagliari Recanatese
Foto: Andrea Mazzotta (Recanatese)

Sbaffo e il futuro: “Ora la salvezza, poi non scenderò a compromessi ma resterò nel calcio”

Sbaffo allenatore in campo, ma per ora solo lì: “Sono talmente concentrato sulla conquista della salvezza che non ho ancora pensato a cosa farò da grande. Di certo resterò nel mondo del calcio, che amo, ma non so ancora sotto quali vesti. Non tutte le persone, i dirigenti, comprendono di avere di fronte persone con una determinata sensibilità e io voglio sentirmi appagato nel quotidiano perché vivo fuori dagli schemi e allo stesso tempo, dentro sono uno a cui basta poco per essere felice. Non scendo a compromessi, mi piacerebbe formare i giovani, magari perché il calcio è una scuola di vita straordinaria”.

Sbaffo Avellino Calcio

Sbaffo e l’Avellino: “Lì ho imparato cosa significa appartenenza al territorio e se rincontrassi Tesser…”

Una scuola di cui Avellino ha rappresentato una tappa importante: Dell’Avellino ho ricordi fantastici. Un esperienza straordinaria, magnifica. Dispiace come sia finita l’ultima parentesi ma capisco Tesser che pensava a far risultato e non aveva tempo e voglia di stare lì ad aspettarmi e comprendermi. Se lo incontrassi gli direi che ho capito che non poteva star dietro ai miei sbalzi d’umore. Avellino mi ha ricordato Ascoli che ho vissuto da giovane calciatore. Con Rastelli ho i miei ricordi più belli, mi fa piacere sia tornato. Lo ricordo come un trascinatore, sapeva toccare le corde giuste con il suo staff che è straordinario partendo da Dario Rossi fino ad arrivare a David Dei e al prof Fabio Eposito”.

“E come non posso ricordare gente come Castaldo, D’Angelo, Zito, con i loro pregi e difetti. Vivevano con passione l’indossare la maglia dell’Avellino per cui lottavano. Ci mettevano la garra, come si suol dire. Sapevano diventare squadra senza parlarsi, in automatico, nei momenti più delicati delle partite. Anche a Castaldo mi sono ispirato per la sua capacità di prendersi quel falletto fuori casa, di piazzare quella zampata vincente. Ad Avellino ho imparato l’importanza di sentirsi rappresentanti di un territorio, il senso di appartenenza che mi ha portato a chiudere il cerchio dicendo sì alla Recanatese.

Sbaffo e il sassolino dalla scarpa: “Amo Gubbio, ma mi ha fatto piacere fargli gol di tacco”

Squadra con cui Sbaffo sente di aver realizzato il gol più bello della sua carriera: “Tutti ricordano quello da centrocampo con l’Albinoleffe contro la Ternana, ma a me ha divertito fare il gol al Gubbio di tacco. Sai perché? A Gubbio è tutto così paradossale. Ho amici veri, mi piace la città, le loro tradizioni, il campanilismo, ci ritorno spesso. Ma appena gioco contro di loro mi insultano. Ma sì, dai, il calcio è anche questo. E allora bene aver vinto, mi sono preso la mia piccola rivincita”.

A cura di Marco Festa