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Ascoli, 39 anni dopo: il derby, la fede, l’attesa e la gioia

Ascoli Sambenedettese

Ascoli Sambenedettese - Credit Ascoli Calcio - www.lacasadic.com

L’Ascoli vince il derby contro la Sambenedettese. Un gol di Milanese, un boato che scuote il Del Duca, un pomeriggio da romanzo calcistico

L’Ascoli, la Sambenedettese e trentanove anni. Un tempo che nel calcio può sembrare un’eternità. Anni di attesa, di storie tramandate da padre in figlio, d’immagini sbiadite e nomi pronunciati con rispetto, come preghiere di un tempo che non voleva morire. Poi, all’improvviso, quell’attesa è finita: Ascoli contro Sambenedettese, di nuovo, per davvero. Prima un’estate, poi una settimana di passione, di ansia, di fiato sospeso. Di notti insonni a immaginare come sarebbe stato.

Il Del Duca non era uno stadio, ma un abbraccio. Una città intera si era vestita di bianco e nero, pronta a spingere i propri ragazzi dentro la storia. E quando il pallone è rotolato, quando il fischio dell’arbitro ha risuonato nell’aria romantica dell’autunno, è sembrato di sentire il battito di quarant’anni compressi in un solo respiro.

L’Ascoli è partito forte, determinato, come chi sa di portare sulle spalle un’eredità troppo grande per essere tradita. E quel gol, arrivato da una combinazione perfetta, è stato come l’apertura di un romanzo atteso per una vita: passaggi di prima, corse leggere, un tocco preciso. Milanese e il cucchiaio, il ragazzo che sapeva di destino, ha calciato la palla in rete. E il Del Duca è esploso.

Un gol, un urlo, un abbraccio. Un momento che non è solo calcio: è il ricordo di chi c’era, di chi non c’è più, di chi quel derby lo ha aspettato troppo a lungo per non piangere adesso.

La sofferenza e la redenzione

Come in ogni storia d’amore, anche questa ha avuto il suo dolore. Quando la Sambenedettese è rimasta in dieci, l’Ascoli ha smesso di volare, come se la paura di vincere fosse più forte del desiderio di farlo. La tensione si è fatta sentire, il tempo non scorreva, ogni pallone pesava come un ricordo e l’avversario onorava al meglio la sfida.

Ma poi è arrivato il triplice fischio. Un suono breve, netto, che ha cancellato trentanove anni di silenzio. Il Del Duca ha tremato, le voci si sono confuse, i sorrisi si sono mischiati al respiro della città. Ascoli Sambenedettese 1-0, il picchio aveva vinto e onore al suo avversario. Aveva vinto il suo derby, quello che vale più di mille classifiche, quello che si gioca nel cuore prima che sul campo.

Giocatori Ascoli sotto la Curva
Giocatori sotto la curva – Credit Ascoli Calcio – www.lacasadic.com

L’abbraccio, la città, la memoria

Un allenatore sotto la curva, i giocatori che saltano e si abbracciano, la gente che non voleva andare via. Nonostante le premesse e la città blindata, c’erano genitori allo stadio che raccontavano ai figli chi era Campanini, chi era Moro, chi aveva segnato quell’altro gol. C’erano ragazzi che il derby lo avevano solo immaginato nei racconti dei nonni. E ora, finalmente, lo vivevano, lo toccavano, lo urlavano.

Nel cielo sopra Ascoli non c’erano fuochi d’artificio. Solo le voci di un popolo che aveva ritrovato una parte di sé dopo gli ultimi anni di delusioni. Perché il calcio, a volte, è questo: un tempo sospeso, un abbraccio collettivo, una promessa mantenuta. Trentanove anni dopo, il derby è bianconero. E il Del Duca potrà finalmente dormire in pace, cullato dal ricordo di un pomeriggio d’autunno che nessuno dimenticherà più.