Gubbio, la carica di Fontana: “Voglio che questi playoff diventino la nostra favola”

L'allenatore del Gubbio Gaetano Fontana Credit_ AS Gubbio
L’allenatore del Gubbio Gaetano Fontana ha parlato ai microfoni de LaCasadic.com
“Crederci sempre, arrendersi mai”. Motto, stile di vita, modus operandi. Nel calcio come nella vita è spesso necessario fare i conti con problematiche e difficoltà di vario genere, che si possono palesare in ogni momento per mettere in discussione le certezze e i punti fermi che si sono raggiunti con il tempo. Per evitare di restare schiacciati, bisogna reagire. Con forza.
Questo lo sa bene Gaetano Fontana, che di periodi “tosti” ne ha vissuti eccome nell’arco della sua carriera, da giocatore prima e da allenatore poi. L’ultimo proprio quest’anno. Subentrato in corsa a Taurino sulla panchina del Gubbio lo scorso dicembre, davanti a lui si prospettava un’impresa non facile. Tirare fuori gli umbri dalla parte bassa della classifica e inseguire l’obiettivo stagionale dei playoff. Sfida accettata, missione compiuta. Fontana ce l’ha fatta, ma adesso c’è da guardare ancora avanti. Vietato mollare. A LaCasadic.com l’allenatore del Gubbio ha fatto il punto sul presente, passato e futuro personale e della squadra. Di seguito le sue dichiarazioni.
“Il nostro è stato un percorso molto articolato e complesso. Quando sono subentrato la squadra era completamente decimata da infortuni importanti, che necessitavano di un periodo lungo di ripresa. Per averli quasi tutti a disposizione abbiamo impiegato quattro mesi. Inizialmente avevo solo 12 giocatori di movimento disponibili. È stato difficile lavorare soprattutto in quel periodo. Anche un’influenza di stagione poteva seriamente compromettere un intero campionato. Ma da subito ho voluto alzare l’asticella. Quando sono arrivato si pensava tanto ai risultati che faticavano a maturare. La parte bassa della classifica era molto più vicina rispetto all’altra. Con grande terrore si buttava lo sguardo verso il basso e non verso l’alto. Ho cercato di dare una motivazione diversa ai ragazzi anche e soprattutto grazie agli allenamenti. Ho detto loro che raggiungere i playoff non era un obiettivo aleatorio, ma fattibile”
” La chiave di volta è stato il derby contro il Perugia, vinto con merito, attenzione, passione e volontà. Questo dopo la sconfitta contro la Ternana a Terni, che poteva essere un colpo non facile da digerire. Siamo riusciti a cambiare subito marcia, con l’idea fissa di raggiungere l’obiettivo dei playoff. La difficoltà successiva è stata quella di recuperare i ragazzi che erano fuori. Si sono avvicinati alla squadra in maniera lenta e a distanza di tempo l’uno dall’altro. A centrocampo avevo pochi ricambi e ho dovuto sottoporre a sforzi incredibili quei giocatori che erano disponibili. Rosaia, Corsinelli, Iaccarino. Ho dovuto anche spostare qualche giocatore fuori ruolo. Ma da questo sono venute fuori belle sorprese. Con il lavoro si può convincere un giocatore a scoprire nuove risorse. Non è stato semplice, anche se adesso, a raccontarlo, lo sembra.”
“Ai ragazzi ho trasmesso quello che la vita mi ha dato”
Leader da giocatore, mentore da allenatore. Fontana ha saputo mettere ancora una volta a frutto l’esperienza maturata negli anni trascorsi sui campi da calcio. Su cosa ha puntato in questi mesi di lavoro e cosa ha dato in più alla squadra? “Io mi definisco un allenatore da campo. I qualunquisti dicono che l’allenatore ha bisogno di tempo per plasmare una squadra. Ultimamente ho solamente ereditato squadre e la cosa più bella per me è stata sconfiggere questi luoghi comuni. Cosa ho trasmesso? Ho trasmesso quello che la mia vita mi ha detto. Da calciatore ho imparato che tutto dipende da me, tutto dipende da cosa e come si affrontano le situazioni. Ho cercato di allontanare quella che da anni definisco la “scusite acuta” , perché ognuno di noi, quando non raggiunge un risultato, si fa prendere da questa malattia, ossia quella di trovare la scusa per ogni cosa. In realtà credo che se le cose funzionano è perché si è agito bene. Se non funzionano è perché si è operato male. Non può dipendere da fattori esterni che non sono sotto il nostro controllo.”
“Ho cercato di riportare un po’ i ragazzi all’interno delle proprie conoscenze e del proprio sapere. Mi sono impegnato a scovare le risorse che hanno e che hanno già mostrato nelle loro carriere, per lavorare su quello che si poteva migliorare. Loro hanno accettato questa sfida. Ho proposto un modo di fare che ha esposto tanto al rischio. Quando sei in basso alla classifica di solito cerchi di evitare danni, di sporcare le partite. Io invece ho lanciato un guanto di sfida: quello di arrivare attraverso il fare. Per fare c’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di sbagliare, c’è bisogno di correggere l’errore. Devo riconoscere che i ragazzi mi hanno guardato con occhi sgranati. Si era presentato davanti a loro un matto predicatore. Poi, però, con il lavoro, hanno capito quello che stavo cercando di ottenere da loro e hanno scoperto o riscoperto delle risorse che non sapevano di avere.”

La forza del gruppo
Lavorare sui rapporti umani. Il mestiere dell’allenatore è difficile proprio per questo. Bisogna pensare non solo con una testa, la propria, ma anche e soprattutto con quelle di chi fa parte del gruppo squadra. La relazione è fondamentale. Fontana ne è conscio. “A me non piacciono i personalismi. Anche quando da capitano guidavo le mie squadre, ho sempre messo davanti il valore della squadra al valore personale. Quando ho vinto i campionati era perché avevo un gruppo forte alle spalle. Altre volte da giocatore ho fatto grandi campionati singolarmente ma passavano in secondo piano perché la stagione della squadra era anonima. Questa è la cosa più importante: riuscire a mettere qualcosa di personale ma in una logica di gruppo. Penso che così si faccia un grande salto in avanti anche a livello professionale, non solo personale. Le relazioni sono fondamentali quando si fa un lavoro di equipe.”
“Quando giocavo avevo tante difficoltà, dovevo crescere sotto molti punti di vista. Ho trovato pochissimi maestri in grado di tendermi la mano e indicarmi la via. Anzi per loro quasi non rappresentavo neanche un problema. Mi emarginavano e stavo lì. Per me così non va bene. Non l’ho mai gradito. Ho sempre cercato di fare questo mestiere puntando sulla qualità delle persone. Una squadra è un po’ come una casa. Volere una squadra forte per giocare a calcio e pensare solo all’aspetto fisico, alla tecnica, alla tattica equivale a costruire una casa dal tetto e non dalle fondamenta. Le fondamenta sono le risorse dei giocatori e riuscire a toccare le corde profonde di qualsiasi giocatore rappresenta la base solida di una squadra. Nonostante sia un fanatico della tattica, mi piace studiare e cerco tutti i giorni di catturare qualsiasi novità, ritengo che l’aspetto tecnico e l’aspetto tattico siano di secondaria importanza rispetto ai valori umani che si trovano in un gruppo. Quando si va in campo, un atleta vive tremila emozioni durante la partita. Dalla più brutta alla più felice. Saperle gestire è un passo determinante. Le prestazioni di Iaccarino, Corsinelli e Tommasini? Aldilà dei nomi citati, che hanno fatto tutti grandi cose, mi piace contestualizzarle in un contesto di squadra. Il valore aggiunto deve essere il gruppo, deve essere la squadra.”
Saper ripartire
Non è la prima volta che Fontana sale su un treno in corsa nel tentativo di riportarlo sui binari giusti. Così ha fatto anche lo scorso anno, quando riuscì a traghettare il Latina ai playoff subentrando a metà anno a Di Donato. Poi la rottura con i nerazzurri e la volontà di rimettersi in gioco. “L’Estate è stata particolare. Ero molto vicino alla Salernitana. Poi situazioni non da campo non mi hanno permesso di accedere alla Serie B, che è una categoria a cui ambisco. Da lì si sono incrinati un po’ i rapporti con il Latina. Anche se, a mio avviso, dovevano essere assolutamente fieri di avere un professionista attenzionato da una grande piazza come Salerno. Poi le cose non sono andate come potevano andare e quindi la decisione di non continuare il rapporto con il club. Le squadre erano già formate per partire per la nuova stagione e ho dovuto attendere. Onestamente ero stato contattato da altre società, che ringrazio, ma volevo aspettare per altre opportunità.”
“Gubbio l’ho sempre vista come un’oasi felice. Una piazza e una città per poter fare certo tipo di calcio, nonostante le difficoltà. Mi potevano chiamare solo squadre che non stavano vivendo situazioni facili, sennò non avrebbero mai cambiato in quel momento della stagione. Però, guardando l’organico, sono stato fortemente stimolato. Non sapevo di questi infortuni lungodegenti, ma l’opportunità mi attirava. L’avevo vista già ad Ascoli in Coppa Italia in Estate e mi aveva incuriosito. Ho trovato difficoltà che non conoscevo, ma devo ammettere che è una squadra qualitativamente molto più forte di quello che ha detto la classifica (il Gubbio è arrivato all’11° posto con 48 punti, n.d.r.) . Quando vedi un uomo come Di Massimo, che ha recuperato alla spicciolata e non è ancora al meglio fisicamente, fare certe giocate di qualità è lì che capisci il potenziale della squadra. Mi sarebbe piaciuto partire dall’inizio con loro e iniziare un percorso già dal ritiro. Ma adesso pensiamo a finire bene questa stagione. Non voglio fare la vittima sacrificale.”

I playoff e la sfida contro l’Arezzo
Il tabellone dei playoff vede l’Arezzo come avversaria del Gubbio al primo turno. “Affronteremo l’Arezzo, che è una squadra forte e attrezzata per fare il campionato che ha fatto e anche per qualcosa in più. Sappiamo che sarà estremamente difficile. L’unico obiettivo è quello della vittoria. Dobbiamo lavorarla bene assolutamente per poter avere le nostre occasioni. Sarà un ostacolo non facile da superare, ma noi ci proveremo.”
“Il nostro percorso, al pari di quelle squadre che sono arrivate none o decime è stato un percorso molto arduo. Perché per arrivare fino in fondo bisogna fare una scalata incredibile. A me la vita ha insegnato che nulla è impossibile. Finché si è in gioco ci se la può giocare al pari di quella squadra arrivata seconda che aspetta nelle ultime gare. Sono partite particolari. Per nulla scontate. A me, poi, piacciono le belle favole, e ogni tanto mi piace pensare che la bella favola la posso vivere anche io, non solo gli altri. E siccome capitano agli altri penso che possa capitare anche a me.”