Mobili, una vita a cento all’ora: dalle galoppate di Modena alle corse in strada

L'ex terzino di Modena, Cagliari e Siena, si è raccontato in esclusiva ai microfoni de LaCasadiC: dagli anni con Ranieri al calcio moderno

3 Gennaio 2022

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Romano de Roma, ma toscano d’adozione. Stefano Mobili, classe 1968, ricorda con estremo piacere il suo passato calcistico dalla sua Figline Valdarno, dove ha messo su famiglia e lavora. Fa il corriere. Del resto, un velocista come lui non poteva trovare mansione più azzeccata una volta terminata l’attività agonistica. La fascia sinistra era la sua “comfort zone”, sulla quale ha macinato chilometri grazie ad un’intuizione del maestro Claudio Ranieri nel 1990 a Cagliari.

Ecco come Mobili ha ricordato quel periodo: “Arrivai sull’isola dopo delle importanti stagioni nell’Ostia con la quale conquistammo la serie C2. Si vociferava da qualche mese che ci fossero sulle mie tracce alcuni club di serie B e di A ma li consideravo semplici rumors. Poi invece tutto si trasformò in realtà e in una bellissima avventura che porto con piacere ed orgoglio nel cuore. All’epoca avevo compiuto appena 20 anni e poter giocare in serie A, a Cagliari, assieme a dei campioni del calibro di Fonseca e Francescoli era un qualcosa di entusiasmante. La fortuna poi volle che Mr. Ranieri, notando la mia corsa, mi trasformò da attaccante ad esterno e fu la svolta per la mia carriera“.

Qualche parola anche sulla stagione successiva, quella del 1991/1992: “Ci fu un inizio difficile con Massimo Giacomini. Poi quando arrivò il mitico Carletto Mazzone, ne beneficiammo un po’ tutti e da li in poi ci fu un periodo d’oro per i rossoblù che in seguito conquistarono la qualificazione in coppa Uefa. Ecco forse non far parte di quel gruppo ed essermi precluso la possibilità di esordire in campo europeo è uno dei pochi rammarichi che ho in quel di Cagliari”.

Mobili e l’avventura col Modena, al fianco di Enrico Chiesa

Poi qualcosa si rompe. Il Cagliari ha velleità ambiziose e decide di puntare su calciatori esperti. Mobili quindi viene spedito in Serie B, in quel di Modena: “Per me fu una destinazione congeniale e graditissima. A Cagliari con l’arrivo di Pusceddu, voluto dalla proprietà, per me si chiudevano gli spazi. Le incomprensioni tattiche con Frosio non hanno certo agevolato il mio percorso che, con un pochino più di maturità da parte mia, sarebbe stato decisamente più produttivo a Modena. Uno scotto che comunque ho pagato nell’annata seguente, quando Oddo mi mise fuori rosa. Poi in seguito quando arrivò Giampiero Vitali per me fu una manna dal cielo. Mi formò definitivamente sotto tutti i punti di vista. Peccato per la retrocessione in C1”.

Anni stupendi per Stefano in maglia gialloblù, tanto che la soddisfazione per l’attuale situazione del Modena lo rende molto felice: “E’ una realtà stupenda ed ha dei tifosi spettacolari. Me ne rendo conto ancor di più oggi, che all’epoca. Ribadisco: mi spiace che non ci siamo salvati perché era nelle nostre possibilità. Tra l’altro in rosa c’erano elementi come Beppe Baresi, un vero maestro. Un esempio per chiunque il primo da arrivare mezz’ora prima e l’ultimo ad andarsene. Preciso e meticoloso sotto tutti i punti di vista e da li capisci perché ha fatto una carriera impeccabile”.

E poi Enrico Chiesa, papà di Federico”. C’era anche lui con Mobili. Tante similitudini tra i due, ma per l’ex giocatore romano papà Enrico batte il figlio. Almeno per il momento: Enrico era già completo da giovane. ne parlavamo un po’ tutti in allenamento delle sue qualità e che avrebbe fatto carriera. Per quanto riguarda il 24 della Juventus, i geni sono quelli non lo metto in discussione. Però deve ancora maturare nella sua totalità e quando ciò avverrà sarà irresistibile come il suo genitore”.

Un giro per la Toscana

Siena, Pisa, Montevarchi e Rondinella. Altre quattro tappe del suo percorso calcistico, che poi hanno portato Mobili a stabilirsi definitivamente in Toscana: “Nel 1997 giunsi a Siena. I primi mesi con la nuova maglia furono durissimi. Fino a dicembre non vedemmo nemmeno uno stipendio. Poi fortunatamente giunse una proprietà che oltre a rimettere le cose a posto, fece alcuni innesti di spessore che ci permisero di salvare la stagione. Pisa? Sotto la torre pendente fu fantasmagorico vincere il campionato di C2. Montevarchi e Rondinella sono state le ultime piazze che hanno verosimilmente chiuso la mia vita da calciatore”.

“Osservando le mie ex squadre al giorno d’oggi – prosegue poi Mobili -, Armen Gazaryan ha investito molto sui bianconeri, che comunque non hanno trovato una loro dimensione. E’ dimostrato dal fatto che sono ben quattro i tecnici che si sono alternati in panchina. Padalino è appena arrivato e quindi è ingiudicabile il suo operato. Montevarchi è un’isola felice. Una realtà stupenda nella quale ho avuto il piacere di lavorare“.

Mobili e il calcio al giorno d’oggi

La piacevole chiacchierata si conclude con una particolare riflessione sul calcio moderno, che non piace a Mobili. Tanto che il terzino si è allontanato definitivamente dal contesto calcistico, cambiando radicalmente vita: “Oggi il concetto di calcio che ho io è lontano anni luce nel collimare al mio modo di viverlo e quindi ho preferito dire stop. Una volta a fine allenamento era tradizione fermarci, magari si calciava in porta o si ripercorreva la partita tra noi calciatori. Oggi è un fuggi fuggi generale, tutti di corsa a prendere il telefono in mano o a fare aperitivo. Era tutto più umano, spesso c’erano cene nei club tra calciatori e i tifosi, adesso noto che sono sempre più rare. Tutti conoscono tutti via social, in realtà credono questo perché in soldoni è solo un mondo virtuale che viene a volte mal interpretato. Ormai è abitudine buttare tutto nel web”.


Ultime parole, ricordando gli anni trascorsi: Sinceramente sto bene anche senza il moderno mondo pallonaro. Ho il mio lavoro, la mia famiglia e la mia quotidianità e sono felice di aver vissuto da professionista il calcio dei Gullit, Van Basten, Maradona e via dicendo ma mi sento di fare un plauso a Maurizio Coppola con cui ho vissuto le annate di Cagliari. Un calciatore unico fatto di quantità e qualità e a mio avviso meritava un percorso professionistico ancor più gratificante rispetto a quello compiuto. Aveva tutto: un calcio potente, la grinta, il fisico, il cuore la tecnica e la testa. Tempo fa parlando con amici di Padova ancora se lo ricordano molto bene”.

A cura di Stene Ali